l'Autobus di una volta

9 Una città che muta Quando quel manipolo di laboriosi operatori decise, nel 1945, di costituirsi in Cooperativa Autotrasporti Pratese nessuno immaginava che l’acronimo CAP, impresso sul muso e sulle fiancate dei loro autobus, sarebbe divenuto uno dei simboli identificativi della nostra città. Io credo che quella rapida assimilazione sia dovuta al fatto che la CAP nacque in un particolare momento della nostra storia urbana e sociale. In effetti i nuovi autobus assunsero un ruolo significativo nell’immaginario collettivo dei pratesi anche perché apparvero in sostanziale coerenza con le tensioni di quegli anni fatti di grande effervescenza economica e di iniziativa individuale, pragmaticamente votata alla ricostruzione e alla crescita. Pensando a quegli anni si rafforza il mio convincimento che l’identità, i connotati culturali di Prato, non erano soltanto quelli elaborati dalle élite intellettuali ottocentesche e del fascismo ma erano soprattutto quelli che emergevano dalla concreta vita sociale e politica, fatta di atteggiamenti mentali, ideologie e istituzioni presenti nei campi più diversi della quotidianità. In pochi casi, come a Prato, il sostrato economico ha avuto un peso così rilevante nel condizionare la fisionomia e l’idea della città e della sua gente. Il tortuoso percorso della storia, che mette in gioco ogni aspetto della società, ha lasciato profondi segni di lungo periodo sulla identità di Prato, impronte riconoscibili anche nei periodi di cambiamento tumultuoso come quello della prima metà del Novecento. Penso ai caratteri di fondo che ebbero origine medievale e si rafforzarono a fine Settecento quando l’economia e la società urbana assunsero la forma di un sistema locale basato sul carattere manifatturiero. Dentro la città murata erano diffuse le aziende di tessitura, tintoria e rifinizione; lungo le sponde del Bisenzio lavoravano le gualchiere mentre la filatura si disperdeva nelle case della città e della campagna. L’insieme era una consistente quantità di piccole imprese, sottoposte a un frequente ricambio. Impannatori e artigiani si muovevano tra la speculazione commerciale e la produzione, con attività che potremmo definire di imitazione creatrice. L’avvento delle macchine di cui Prato fu essenzialmente debitrice a Giovan Battista Mazzoni, irrobustì i connotati di questo particolare sistema locale che beneficiò e in parte fu artefice del graduale consolidarsi di una diffusa cultura del lavoro, di una operosità applicata alle attività economiche che non mancò di influire sulla formazione intellettuale dei gruppi dirigenti e nel ruolo delle istituzioni pubbliche. Negli anni Cinquanta del Novecento, mentre la CAP muoveva i primi passi, il centro storico e la periferia erano fortemente contaminati dalla presenza di magazzini e botteghe artigiane che si assommavano senza determinare alcuna qualificazione di quartiere; dentro le mura perfino alcuni edifici di qualche rilevanza architettonica erano usati senza risparmio per contenere i mille rivoli attraverso i quali si dilatava l’impegno produttivo cittadino.

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